“Ero
analfabeta, ma piena di favole”
Maria Lai
era un’artista sarda, che lavorava su telaio e sulle sue tele cucite raccontava
l’Italia dopo la seconda Guerra mondiale.
Diceva : “
Un paese che si consola con le favole ed i versi , che imprime nella mente per conservarne il ricordo”.
Tenendo per
mano il sole è il titolo della sua prima favola cucita, la più famosa e che è possibile ritrovare in forma tattile
presso la mostra “Ascoltare la materia” al Maxxi di Roma, un percorso diviso in cinque sezioni :
- Cucire
e ricucire, in cui Maria Lai abbandona il disegno in favore di materiali
solidi;
- Giocare
e raccontare , l’arte intesa come divertimento per gli adulti;
- Oggetto
paesaggio , ad esempio sculture di libri;
- Immaginare
l’altrove, mappe concrete e fantastiche di mondi inediti;
- Incontrare
e partecipare, funzione salvifica dell’arte, per la collettività. Al suo interno la grande
opera “Come legarsi alla montagna”, esperimento di arte relazionale, ispirato
ad una leggenda sarda.
“L’uomo ha bisogno di mettere insieme il visibile e
l’invisibile, perciò elabora fiabe, leggende, feste, canti,arte”.
Dal web:
“I libri cuciti di Maria Lai sono pagine di
stoffa che ricordano i volumi senza parole sfogliati dai santi nei quadri del
XVII secolo. Le righe del ricamo, il cui ritmo è rappreso in nodi di filo da
cucito aggrovigliato, e le parole hanno l’andamento di una partitura musicale.
Il cucito, un’attività umile e domestica tradizionalmente assegnata al genere
femminile, è coniugato con il libro, emblema dell’autorità del testo e del
sapere occidentale in cui la donna ha avuto un ruolo subalterno. La parola e la
scrittura sono una forma del potere, detentore dell’interpretazione e delle
letture impartite, che Maria Lai nega con questa ribellione gentile e
silenziosa. In questi volumi di stoffa si tramanda un canto che resta chiuso al
tentativo di decifrarlo per trarne il significato; che non si deve
interpretare, perché l’interpretazione è una presa di possesso che esclude i
sensi molteplici che un simbolo reca in sé. A volte non si riesce a sfogliarne
le pagine, perché i fili che si ingarbugliano le tengono chiuse. Sono timidi,
non enunciano: suggeriscono, evocano, bisbigliano.
I “Silenzi” della Lai, evocati dalla Ciusa nella
sua narrazione rigorosa nell’analisi e nello studio dei documenti originali e
inediti, sono queste pause di parole e di peso che invadono lo spazio dell’arte
per intensificare la ricerca. Anche quella mitografica locale e la riflessione
profonda che Maria Lai conduce sulla memoria collettiva radicata nel territorio
di appartenenza, antropizzato o naturale, pongono questa artista al livello
della più famosa Land Art americana”
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